30 set 2011

una poesia...

Qualche settima fa, facendo distrattamente zapping , mi sono imbattuta in un programma dedicato alla narrativa e non solo, su una televisione locale toscana (che, molto probabilmente, con l'arrivo del digitale terrestre sarà cancellata..). Intervistavano un medico. scrittore , poeta ma soprattutto un uomo che per quello che diceva mi ha subito colpito...Parlava di malattia mentale, e ne parlava in un modo più moderno del moderno, quasi rinnegando quello che era stato il suo lavoro. Lui che i malati voleva mandarli fuori perchè solo fuori dal manicomio si guarisce, lui che coi malati cercava il dialogo e quello che ne era scaturito solo con la poesia poteva esternarlo...

Ha raccontato la storia di un uomo... A San Salvi c'era uno casetta di legno dove i pazienti del manicomio andavano ad incontrare gli artisti, in questa casetta un uomo stava sempre rivolto verso il muro e parlava, parlava col muro... Secondo tutti faceva così perchè non era normale il suo cervello ma Giorgio Antonucci, questo il nome del medico e poeta, si avvicinò a lui e cominciarono a parlare. finalmente l'uomo che parlava al muro poteva rivolgersi a qualcuno, semplicemente nessuno prima di allora l'aveva fatto, questa era per buona parte la sua malattia... Una grande solitudine immersa in una ancora più grande disumanità.

Era stato mandato a combattere in Russia, lui che, analfabeta i Russi non sapeva nemmeno chi fossero e che la Russia chissà dov'era.. Laggiù fu protagonista di una guerra crudele, avanzata e ritirata, subì il congelamento, riuscì ad uscire da quella situazione disumana ma, arrivato a casa non trovò più nessuno della sua famiglia. Il dolore e l'impossibilità di confrontarsi con chi potesse capirlo (e questo è stato il dolore più grande di quasi tutti i reduci di quella guerra)lo fece cadere forse in un esaurimento nervoso, forse depressione e così, da una situazione disumana passò ad un altra: il manicomio.

Giorgio Antonucci dedica a questo reduce della guerra di Russia e poi rinchiuso nel manicomio di San Salvi, questa poesia. Purtroppo nel cercare carta e penna ho perso il titolo, e ho trascirtto velocemente il testo quindi spero di non aver commesso errori. In ogni caso le poesia sono raccolte in un libro, cercatelo...



Mi hanno mandato in Russia a uccidere
A uccidere
Gelo del vento
Gelo delle acque del Don
Vetri rotti nelle piccole case del Don

Mi hanno mandato in Russia a uccidere
A uccidere
Gelo del vento
Gelo delle acque del Don
Vetri rotti nelle piccole case del Don

Mi hanno mandato in manicomio a morire
A morire
Gelo del vento
Gelo delle acque del Don
Vetri rotti nelle piccole case del Don

L'agonia di un uomo non è tutto
Quello che conta è il regolamento
Le regole del campo
Fatelo con ordine
Tagliatemi a pezzi
Uccideteli tutti

L'agonia di un uomo non è tutto
Quello che con ta è il regolamento
Le regole del campo
fatelo con ordine
Tagliatemi a pezzi
Uccideteli tutti


Giorgio Antonucci, medico, poeta, scrittore, psicanalista, primario del raparto Autogestito dell�ospedale psichiatrico, �Lolli�, di Imola. Nella sua pratica ultraventennale non � mai ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio e ha mostrato come sia possibile occuparsi in pratica di pazienti psichiatrizzati senza l�utilizzo di metodi coercitivi. Ridando dignit� e libert� ai reclusi della psichiatria. � presidente onorario del comitato scientifico di Gi� le mani dai Bambini, membro onorario dell�Associazione Europea di Psicoanalisi, socio onorario dell� Osservatorio Italiano Salute Mentale, membro del comitato scientifico dell�Universit� Popolare di MusicArterapia. Collabora con il Comitato dei Cittadini per i Diritti dell�Uomo.


Giorgio Antonucci


Alcune frasi del dottor Giorgio Antonucci con cui mi trovo perfettamente d'accordo:

"La psichiatria non è una scienza. La psicologia è un giudizio arbitrario che valuta le persone e, a volte, le uccide."











18 set 2011

IL LIBRO BIANCO DELLA PROVINCIA DI PISA



Ripubblico in questo spazio virtuale che vuol essere "vacanza" un po' alla maniera di Dante Livio Bianco, che dette una delle migliori definizioni del periodo della Resistenza (anche secondo Giorgio Bocca), definendola appunto "Una lunga vacanza", la versione elettronica di un fascicoletto con la copertina tutta bianca e senza scritte che mi ha lasciato mio nonno Terzilio.
Precedentemente l'avevo già "postata" sul mio blog sulla piattaforma di Style (Condè Nast) ma visto che, dopo anni, il blog verrà presto cancellato (perchè dal 23 settembre in poi verranno accettati solo post che parlano di niente) mi sembrava giusto e doveroso dare spazio in questo nuovo piccolo blog a questo importante frammento di memoria.









Noi Siamo I Comunisti


quelli che seguono sono i contenuti di un volantino che ha accompagnato la prima esecuzione "dal vivo" della nostra canzoncina "Noi siamo i comunisti", avvenuta il 13 agosto 2011 alla Festa di Liberazione di Pietrabuona (Pescia).
Segue il video.
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§ Noi siamo i comunisti §

/testo: Serena S. Madhouse- Musica: DottorZeroTrash/

-coro russo: Fabio Rapatmax, Joe Natta, DottorZeroTrash-

I bambini noi mangiam

Perché

Siamo i comunisti che nel gelo dell’inverno.

Dentro un’isba noi viviam

E ci scaldiamo col fuoco della povertà;

E ci mangiamo i bimbi

Che qua portiamo.

Noi siam…

Noi siamo i comunisti

Dal freddo veniamo

Noi siamo i comunisti

I bimbi noi mangiamo

Noi siamo i comunisti

Dal freddo veniamo.

Noi siamo i comunisti

I bimbi noi mangiamo.

Dalla steppa noi cantiamo per te

Siamo i comunisti che

Dal cuore della Russia

Dalla neve noi veniam

E ci scaldiam col grasso della società

Mangiando i vostri bimbi che qua portiam.

Noi siam…

Noi siamo i comunisti

Dal freddo noi veniamo

Noi siamo i comunisti

I bimbi noi mangiam

Noi siamo i comunisti

Dal freddo veniam

Noi siamo i comunisti

I bimbi noi mangiam.

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=

I bambini noi mangiamo…Perché? ?

-Le origini-

Sul finire del 2oo8 abbiamo avuto l’idea di realizzare questo progetto, nato un po’ per gioco un po’ per rabbia, con un brano, quasi una filastrocca infantile, che ci sembrava perfetto come canzone natalizia vista la situazione in cui vivevamo (e che subiamo ancora). Questo continuo scaricare le responsabilità e le colpe sugli altri, spesso (sempre?) sui “comunisti”: soggetti non ben identificati, spesso campati in aria e decontestualizzati. A quanto pare nel nostro Paese questa è una formula che funziona… piuttosto bene!

E’ una tradizione vincente che vide la luce nei primitivi inizi del secondo dopoguerra, quando dai pulpiti delle chiese iniziava una trionfante e cinica propaganda anti-comunista, che usava e sfruttava il dolore di tante famiglie italiane, mamme, mogli e sorelle che avevano un figlio disperso o un loro caro e che cercavano conforto nelle parole bugiarde di questi preti di regime. Non è che vogliamo fare di tutta l’erba un fascio (!), perché ci furono anche eccezioni, ma la consuetudine voleva tutti i dispersi italiani prigionieri dei nemici comunisti, quando in realtà molti soldati italiani erano morti in battaglia o per le ferite che non potevano curare o per la fame e il freddo che “chi di dovere” non aveva né previsto, né considerato. In più c’erano malattie (soprattutto per chi andò prigioniero nei campi di lavoro sovietici) come il tifo petecchiale, il colera e altre epidemie. E come tutti dovremmo ormai sapere, male armati e peggio equipaggiati per superare la sfida del Generale Inverno.

Così mentre in Italia nasceva il mito del comunista mangiabambini, nella sterminata Russia molti nostri soldati, tornati poi malconci ma vivi e con la volontà alla fine di raccontare come andarono veramente le cose, furono aiutati dai civili russi che non se la passavano meglio. E furono soprattutto le mamme russe a riconoscere, ad esempio, nel modo di camminare un principio di congelamento che poi curarono, a ospitare al caldo della loro isba chi rischiava di morire assiderato. Tra le tante difficoltà le fragili isbe russe rappresentavano la famiglia e soprattutto la Pace e l’umanità, offerta dal “nemico”, mentre i veri nemici dei nostri soldati, e degli italiani tutti, si trovavano a Roma!

Questo è lo spirito che ci ha portato a questo progetto che è stato tanto criticato dal momento della sua pubblicazione su Youtube e spesso non compreso, forse volutamente. Nell’esecuzione della musica (originale e interamente composta per la forma orchestrale) si è voluto “scimmiottare” rispettosamente il Coro Dell’Armata Rossa, sperando anche con un po’ d’ironia, di aver reso onore a tutti quelli che hanno sofferto queste vicissitudini.

A sollevarci il morale sono arrivati complimenti da Leningrado, per il brano e per le immagini storiche usate nel video! A voi il giudizio. Buon ascolto spensierato e divertito con JOE NATTAZLe Menti Malate!

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Dal cuore della Russia

I brani che seguono (testimonianza di Giuseppe “Beppe” Lamberti, comandante del Cervino, gruppo sciatori)sono tratti da LA STRADA DEL DAVAI di Nuto Revelli- Einaudi.

Non tutti sanno o vogliono capire che l’Unione Sovietica è dissanguata. Non si vedono o non si vogliono vedere gli sforzi e i sacrifici della popolazione civile che a volte sta peggio di noi.

Molti raccontano fino alla nausea la loro dolorosa storia personale mettendo in primissimo piano “l’inumanità” del popolo russo. Nulla sanno e nulla vogliono sapere della storia di questo popolo, delle immense sofferenze che il popolo russo subì e sta subendo per colpa dell’invasione tedesca della quale noi siamo stati , anche se incoscientemente, fautori e sostenitori.

Ricordo che durante la ritirata, con pochi superstiti ancora al mio fianco, fummo creduti tedeschi dai partigiani che ci catturarono. Indossavamo le tute bianche del Cervino, eravamo armati. Ci misero al muro per fucilarci.

Per caso fu chiarito l’equivoco. E quantunque fossimo in piena battaglia , l’ufficiale dell’esercito rosso che annullò la decisione partigiana di fucilarci dimostrò di comprendere la tragica situazione degli italiani. Ci catalogò infatti con queste parole: “Illusi al seguito degli altri”.

Con l’agosto del 1945 la fine della guerra porta nei campi di prigionia la speranza di un immediato rientro in Patria. Ma soltanto nell’autunno le prime tradotte di prigionieri muovono verso l’Italia.

Non rimpatrio con i “benpensanti”, molti dei quali hanno avuto la… precedenza e sono partiti con le primissime tradotte: rimpatrio nell’agosto del 1946 con gli ultimi.

Sulla strada del ritorno, a Mosca, lunga sosta con altri ex prigionieri italiani nella stazione ferroviaria.

Un vecchietto in paziente attesa sotto la pensilina vuol sapere chi siamo.

“Prigionieri italiani”, è la nostra risposta.

“E dove andate?”

Domoi, a casa”.

Il vecchietto allora agita bonariamente in aria il bastone su cui si reggeva, appare meno esile, più vivo. “Per questa volta è andata così,- conclude- ma se tornerete ancora una volta anch’io vi romperò la testa”.

E’ tutta in quest’episodio l’espressione dell’animo russo che sa discernere tra Italia e fascismo, tra italiani e tedeschi; quell’animo russo che avvertiva come anche noi fossimo vittime di una colossale avventura.

Idea & testo di: Serena S, Madhouse

E con la preziosa partecipazione di:

Marco Sabattini (DottorZeroTrash)

Joe Natta e Fabio Rapatmax

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cercate il video di “NOI SIAMO I comunisti” SU YUOTUBE

P.S. la scena finale del video e’ tratta dal film del 1949 “La caduta di Berlino

Di Michail Chiareli





















16 set 2011

Addio a "Ometto", che non serviva i tedeschi...

Di lui mi aveva parlato qualche volta il mio babbo,per quella sua decisione di non volere come clienti della sua trattoria (aperta nel 1946 nel paese di Bedizzano che oggi è gestita dalla figlia Lorena)i tedeschi, neanche quelli giovani, nemmeno quelli che della guerra e delle atrocità naziste magari si vergognavano...

"I tedeschi?Qui non entrano, qui non mangiano" questo aveva sempre detto Francesco Farsetti, da tutti conosciuto come "Ometto", da cui prende il nome anche la sua storica trattoria.

Poteva sembrare una scelta discutibile, così dopo tanto tempo, ma io ammiravo questa scelta, credo che in tanti abbiano fatto altrettanto e non per odio verso i tedeschi "nuovi" (che al contrario deli italiani "nuovi" hanno fatto una buona opera di pulizia e chiarezza nei confronti di quello che è stato il nazismo, fino ad estirparlo e relegarlo nell'angolo buio delle cose fuorilegge)ma per quel rispetto che tutti dovremmo alle persone che tanto hanno sofferto e lottato a causa di questo nostro alleato traditore.

Ometto è morto martedì scorso a 89 anni , e la notizia ha commosso per la perdita di questo partigiano fino alla fine che aveva combattuto nella gloriosa Brigata Garibaldi.

"Lui i tedeschi non poteva vederli, aveva visto uccidere tante persone in tempo di guerra, tante donne incinte fucilate. Ricordi duri, non ha mai perdonato... Negli ultimi mesi era debilitato per la malattia, ma avrebbe voluto andare in giro, non era di quelli che se ne stanno a letto, andava a tutte le iniziativa dell'ANPI, di cui faceva parte" così ci racconta la figlia...

Ometto in 62 anni non ha mai fdatto entrare un tedesco nella sua trattoria, eccetto una volta nell'agosto del 2008..

Proprio il giorno della ricorrenza dell'eccidio di Sant'Anna Di Stazzema,imbandì la tavola sotto il pergolato, nella sua trattoria in mezzo alle Apuane e accolse una reporter tedesca di Berlino: Digne Melver Marcovicz, anarchica e antifascista, brindò con Ometto con del buon vino locale e a Carrara si parlò a lungo di quell'Armistizio di un solo giorno tra Ometto e la Germania.

Sotto quel pergolato all'ombra delle cave di Marmo si unirono due storie: "Ho visto i massacri di gente inerme, compiuti dagli aguzzini delle SS di Walter Reder. Come posso servire i discendenti di tanta barbarie. I miei morti ammazzati si rivolterebbero nelle fosse comuni dove li avevano scaraventati" dichiarò Ometto nel 2008. Ma provò un senso di vicinanza verso Digne Marcovicz, la cui famiglia di ebrei tedeschi e olandesi fu distrutta dai nazisti.

Morto loste che non serviva i tedeschi


14 set 2011

Le Due Guerre



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Su invito di Giorgio Rochat Nuto ripercorre il suo ventennio fascista, che lo vede un ragazzino che preferisce lo sport allo studio..per questo ben vengano i campi Lux e l'attività fisica, quasi paramilitare promossa dal fascio..Poi la vita nell'accademia militare di Modena, più per il padre che lo vuole militare in carriera che per se stesso...La preparazione insufficente, quasi ridicola alla guerra..La partenza per il fronte Russo attraverso i paesi scossi dalla guerra..L'incontro con gli ebrei..le illusioni cominciano a cadere, lasciando solo una dolorosa ignoranza..E poi il Don, il tradimento subito dagli Alpini, il brutto rapporto coi tedeschi..L'impegno di lasciare l'esercito.. Impegno mantenuto alla fine dell'unica guerra che Nuto sentirà sua, dovuta, sofferta ma necessaria: i suoi venti mesi di guerra Partigiana..e poi la festa della Liberazione, quasi un sogno che dura poco... Dedicato ai giovani...


serena s.madhouse


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NUTO REVELLI (A. Gwis - R.Manzi)